Antico collegamento tra Ronco e la riva del lago, il principale prima della costruzione della strada carrozzabile nel 1871. Si tratta di una scalinata che conta più di ottocento scalini. L’accesso al paese non corrispondeva a quello attuale: si saliva infatti per la scala tuttora esistente a ovest della casa parrocchiale, oggi senza sbocco nell’abitato.
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Via crucis eretta alla fine dell’Ottocento sull’antica mulattiera che conduce ad Arcegno, dal paese fino al cimitero. Frammenti di piani del progetto sono depositati presso l’archivio patriziale. Le prime due stazioni furono dipinte sulla facciata della Madonna delle Grazie. La prima cappella si trovava in cima alla scalinata che saliva dietro la chiesa, la seconda allo svincolo della Stráda de Scíma, oggi Via delle Scuole. Altre quattro erano sulla Capèla di Quáter Cantón. Sono sopravvissute unicamente la cappella della nona stazione e quella della dodicesima, ubicate qualche metro sopra l’odierna strada, dove un tempo passava l’antica mulattiera. Le ultime due stazioni erano dipinte sulla facciata della demolita chiesa dell’Annunciata.
Piccolo edificio situato sul corso d’acqua di Croásca, sotto la strada per Arcegno; anticamente era un mulino.
Zona in riva al lago, verso il confine con il territorio comunale di Ascona. Accanto all’Albergo Acapulco sorgono due belle ville in stile Bauhaus, costruite nel 1927 dall’architetto Carl Weidemeyer (1882–1976), autore del teatro San Materno di Ascona. La villa verso est portava in origine il nome di Casa Fontanelle.
Avvallamento in una zona ripida a est e a valle dell’abitato. Attualmente, nella sua parte superiore sono sorte alcune case. Una volta era in parte terrazzato e coltivato. Secondo alcuni informanti, il nome starebbe a indicare una zona di caccia (il termine sembra comunque non avere corrispondenti nel dialetto locale).
Due cappelle sepolcrali di due famiglie ronchesi: i Ciseri e i Sorazzi. Negli anni Trenta si trovavano in avanzato stato di degrado e furono demolite. Si trovavano poco dopo il punto in cui l’attuale Via delle Scuole incontra la strada cantonale. La famiglia ronchese Ciseri è l’unica che ha acquistato una certa fama; il più noto rappresentante fu il pittore Antonio Ciseri (1821-1891). I Ciseri tenevano bottega a Firenze dove lavoravano come pittori d’ornato e decoratori di interni. I Sorazzi, di origine italiana e nobile, giunsero a Ronco probabilmente nel Settecento. Un Giuseppe Sorazzi combatté in America nella Guerra di secessione. Secondo il pronipote Vittorio Spigaglia, «l’éra vun de qui galòfer» (‘imbroglione’, ‘avventuriero’). Tornato in patria «l’éra dumá Sant e Madònn» (‘era tutto di chiesa’), e impiegò tempo e denaro in numerose opere pie. Stando sempre alle informazioni di Vittorio Spigaglia, promosse tra altro la costruzione della via crucis (idem). Le ultime due rappresentanti dei Sorazzi furono Agatina e Filomena, entrambe sposate in Materni.
Sede del Ristorante Zurigo, con un bel giardinetto antistante, oggi sostituito dalla nuova casa comunale. Era proprietà dei Ciseri e in parte dei Lamberti. Qualcuno osserva che il locale contribuì negli anni Trenta letteralmente a “rinnovare il sangue” dei ronchesi. Infatti, diverse ragazze venute qui a servizio trovarono mariti del villaggio.
Grande casa col tempo divenuta cadente, tanto che serviva da rifugio ai vari lavoratori ambulanti che arrivavano in paese: il magnano, il seggiolaio (el cadregátt), l’arrotino. Fu demolita all’inizio degli anni Trenta, quando venne costruita la nuova strada attraverso il paese; questo tratto era il naturale collegamento tra la carrozzabile che saliva dalla Ríva e quella che conduceva ad Arcegno, costruita nel 1932.
Dietro la Scoléta c’era un piccolo cortile e, a monte, un locale che serviva alle suore da lavatoio e da legnaia. In passato il comune vi teneva una sorta di ospizio. Nel locale vi era un ampio camino e il comune forniva sacchi imbottiti di strame, da usare come materasso (bissácch), e semplici pasti caldi alle persone di Ronco in difficoltà. Questa istituzione funzionava irregolarmente, e gli informanti ricordano che all’Uspízzi talora si digiunava, a meno che qualche membro della comunità si ricordasse delle persone che vi trovavano rifugio. Un tempo, l’unico senzatetto era lo Spisc, un brissaghese che era stato servitore di Massimo Sartori. Si racconta che il comune decise saggiamente di non aprire l’Uspízzi per una sola persona, e trasferì l’anziano uomo presso la Caterinètta Spigaglia. Questa gli preparò un giaciglio nel fienile, ricevendo dal comune pochi centesimi per il vitto. Nella varietà dialettale locale, lo spisc era una specie di martello in legno con uno spigolo acuto, usato per rompere i ricci delle castagne tolte dagli arisciá (‘mucchi di ricci’).
Sottopassaggio che collega la strada cantonale con la Caraa. La casa soprastante era chiamata Ca di Foghítt. Nel dialetto locale foghítt sono ‘le faine’.