Archivio Categoria: Toponimi

la Casa Sessill

Casa di fronte alla chiesa parrocchiale, un tempo di proprietà di Francesco Spigaglia, il nonno di Pino Maranesi, uno degli informanti della presente raccolta. Passò in seguito da Francesco al fratello Martino, allora emigrato in Francia. Tornato in patria all’inizio del Novecento, Martino, detto Martinetto, ampliò la casa con gusto francese e vi abitò con la moglie parigina, conosciuta solo come la Madame e non meglio identificata. I ronchesi la salutavano con «bundí, scióra madámm!». Il Martinetto fu per vari anni sindaco di Ronco. La casa fu poi abitata dalla figlia Cécile, da cui il nome dell’edificio, sposata Fontana. Ora è proprietà Bettè.

el Casón

L’unico alpe di Ronco, a 1284 metri di quota, un tempo di proprietà per metà dei Materni e per metà del patriziato. Comprende vari edifici, anch’essi di proprietà in parte comunale e in parte patriziale; una stalla è bruciata recentemente. A ovest sorge la cascina più antica, con un piccolo focolare; un anello di legno nel muro serviva per attaccare il braccio girevole della caldaia. Un pozzo, che forniva acqua per il bestiame, è tuttora ben conservato, nonostante i lavori idroelettrici degli anni Cinquanta, che prosciugarono buona parte delle sorgenti e dei corsi d’acqua del territorio comunale. La zona è ancora oggi caratterizzata da un grande prato che viene falciato ogni anno. Un tempo, portava un recinto, che si può ancora intravedere a tratti. Non si tratta di un alpe nel senso classico, perché l’insediamento fungeva anche da monte per la fienagione e c’era forse anticamente anche qualche campo. Durante la seconda guerra mondiale, tutto il Casón fu coltivato a patate. Nei verbali seicenteschi della vicinanza è documentato, oltre all’incanto annuale dell’alpe, anche quello dei mulini, della misura per i liquidi e della pesa pubblica.

el Crosón

Zona su cui sorge una delle croci della processione di Santa Croce, sulla Címa. Questa struttura era più grande delle altre, e in occasione della processione era sede dell’appello nominale; infatti, una persona per famiglia era tenuta a partecipare alla processione, pena una multa. Da qui la processione continuava per Casón e Puzzó.

in Sc-ciavárd

Uno dei monti più alti di Ronco. Vi avevano caselle e terreni varie famiglie: i Fontana, Martino Spigaglia (una proprietà poi passata ai Bettè), i Sciavetítt, i Sciumácch, la Caterinètta, el Pasquáll Porta, una non meglio identificata Nocénta, i Maggetti, il Ghíga. La famiglia di Vincenzo Poroli, detto Ghíga, soggiornava in primavera a Parchessón; poi si spostava in questo luogo. L’acqua è del tutto assente dalla zona, per cui erano state costruite sei cisterne per la raccolta dell’acqua piovana; una famiglia ne possedeva due. L’acqua di cisterna non era ritenuta potabile, a meno che ci si mettesse nel fondo del carbone, e per l’approvvigionamento era necessario recarsi alla Purèra. In tempi di siccità si trasportava anche l’acqua per il bestiame, evitando di farlo scendere alla Purèra e risolvendo così gli inconvenienti legati alla mancanza di trósg. Il monte era protetto contro le valanghe da grossi faggi, che erano stati piantati sotto il Merísg. Più recentemente, le piante furono tagliate e vendute. Si racconta che in una casella del monte che il Giúli, Giulio Poroli figlio di Vincenzo, usava come stalla abitasse all’inizio del Novecento la Pintepé, una donna di cui non si ricorda il nome. Una notte la donna fu rapita insieme alla sua vacca da due uomini che erano scesi dalla Címa. Per farla uscire di casa i due fecero suonare il campanaccio della vacca, come avrebbe raccontato poi la figlia. Il giorno dopo era domenica, e le donne usavano darsi la voce per scendere insieme in paese per la messa; la Pintepé non si fece sentire e nessuno da quel giorno la vide più.

la Purèra / la Porèra

Il monte più grande di Ronco, ritenuto anche il principale. Sul lato sinistro della valle, verso Ascona, varie caselle erano di proprietà dei Poroli Cairo; ora sono dei Pugni. Una è datata «1670»; un’altra era della Marión, Maria Materni nata Spigaglia, e porta la data «1643». Un’ulteriore bella piccola casa con il dipinto della Divina Pastora, opera di un ronchese Spigaglia, fu costruita dai Ciseri per la servitù; sull’architrave si legge la data «1823». Proseguendo verso ovest, sul versante opposto della valle, c’era una casella con cantina, attraversata da un rigagnolo e adibita al primo piano ad abitazione; era proprietà dell’Urcèla, probabilmente una Spigaglia. Una casella con cappelletta, situata all’angolo del sentiero che sale in direzione di Puzzó e ora cadente, era di proprietà dell’Aghetín. Sul lato della piccola strada che attraversa l’insediamento, sorgono altre caselle tradizionali, ora in parte ristrutturate. Vi sono poi vari edifici più rappresentativi, costruiti da famiglie Ciseri, Materni e Spigaglia nel primo Ottocento. Un tempo alla Purèra soggiornavano solo ronchesi; in seguito, agli inizi del Novecento, i Farinelli, proprietari di mulini ad Ascona, vi fecero costruire comode case per la villeggiatura estiva. Petrini si chiede se ascrivere il nome Puréra ai derivati del latino porrum ‘porro’.

la Camána

Zona dove sorge un rifugio forestale. Nel passato la localizzazione esatta del luogo era a valle del vecchio sentiero per Puzzó. Vi sorgeva una casella in cui soggiornavano i Paolítt (famiglia non meglio identificata), originari di Intragna. C’era anche un técc, una stalla, e «u gh’éva i sò sciupp e l sò trósg, l’éva tutt scundú» (‘c’erano le siepi verso il sentiero, di modo che la cascina non si vedeva’). I Paolítt avevano bestiame anche a Nacc, nel territorio comunale di Brissago, e all’alpe dei Laghítt, in territorio di Bordei (nel comune di Palagnedra). Una camána è un piccolo edificio, una capanna spesso addossata a una stalla, con tetto a uno spiovente. Spesso era adibita a porcile (VSI III, 271-274).

la Madòna de Puzzó

Secondo la tradizione, la più antica cappella nella zona dei monti. Sarebbe attestato che già nel Cinquecento sorgesse in questo luogo un edificio di discrete dimensioni, il quale con l’andare dei secoli fu più volte ristrutturato e ampliato. Ebbe l’altare appena nel 1888, donato da Giuseppe Sorazzi. Agli inizi del Novecento, presentava una pianta di poco più di quattro metri per lato e un piccolo portico antistante, che nel 1934 fu incorporato nell’edificio. È un luogo molto caro ai ronchesi e punto d’arrivo della processione di Santa Croce, nella cui occasione qui veniva celebrata la messa.