Antica casa un tempo appartenente alla famiglia Spigaglia, oggi ai Roggero, che sorge in fondo alla Strécia di Cáir, risalendo l’ultimo tratto del vicolo, attorno a un piccolo cortile. Oltre a quello attraverso un portone in fondo alla Strécia, è dotata di un secondo accesso, sopra il barchétt di Vícolo Busbái. Secondo Gilardoni, una particolarità di questa casa è una cappella interna che, a detta dei proprietari, è conservata tuttora. Anche questa è un tipico esempio di «casa borghese» di Ronco. Vari Spigaglia, appartenenti a diversi rami della famiglia, erano artigiani che emigravano stagionalmente in Italia.
Archivio Autore: Alice Roobbiani
Strada che iniziava in cima alla Caraa e conduceva verso ovest. Vícolo Busbái è l’antico nome del tratto che oggi conduce dalla carrozzabile fino all’angolo con Via Vallona. Negli anni Cinquanta, quest’ultima denominazione fu estesa a tutta la strada che attraversa il paese a mezza altezza. Secondo l’informante Remo Bettè, Busbái era il nome di un gruppo di case che si trovavano nei pressi del vecchio Zurígo, attuale casa comunale. Busbái potrebbe essere riferito all’italiano antico busbo ‘imbroglione’.
Salendo la Caraa, dopo la Casa Císeri sul lato sinistro, si giunge al vecchio negozio di Guglielmo Materni (1876–1937), abbandonato da quando è sorto quello nuovo in piazza, che porta le vecchie insegne e la saracinesca chiusa. Questo ramo dei Materni era chiamato i Fagótt o i Matèrni da Scíma. Il primo negozio del Materni si trovava di fronte, nella casa di proprietà di Guerrina Mazzi. Questo stabile fu poi acquistato da Ríco el Sciubiòtt, cioè Enrico Poroli Bastone (1877–1955), del ramo dei Bacítt, che era massaro dei Ciseri.
Campo per la pratica del gioco delle bocce di proprietà dell’osteria di Palmira Carrara Beltramelli, al di là della Vall de Rivói, nell’estrema parte inferiore dell’abitato tradizionale. Si chiamavano paletulái i campi per le bocce in genere, ma questo toponimo si riferisce in modo particolare a quello di proprietà della Palmira. Strutture del genere esistevano anche all’Osteria del Cécch, al Ristorante Ronco e allo Zurígo.
Denominazione complessiva di una serie di antichi mulini dei quali praticamente non esiste più ricordo. Ne rendono però ancora testimonianza varie macine presenti nella zona. Remo Bettè ricordava che, quando era bambino, si coltivava ancora un po’ di segale, che si portava a macinare a Losone. Lungo la Róngia c’erano quattro mulini (1657), tre dei quali ancora localizzabili. Altre strutture del genere sorgevano in Levúrc, in Croásca, sulla Bufága, alla Puncedána e in altri luoghi.
Tratto di strada sotto la Scala del Ghèll. Una rete metallica (per il dialettale ramína) esisteva effettivamente e il terreno sottostante era proprietà della Dotóra Spigaglia. Si trattava in passato di un tipico ritrovo dei giovanotti del paese, che ci venivano a cantare o a fare un po’ di musica.
Case attorno a un cortile, al quale si accede tramite un portone e una scala. Da un lato stavano Filippo Bettè e la moglie Rosa, che tenevano un negozio di panetteria. Sul fondo abitavano le sorelle Carolina (1869–1966) e Rosalia Bettè (1877–1943), dette i Padèll. Carolina teneva un negozio di generi alimentari e altro, situato al primo piano salendo la scala dal cortile. Di proprietà della famiglia Bettè sono anche le case attorno al cortile, dove si trovava fino in tempi recenti una panetteria. Remo Bettè vi trasferì il forno dai Mulítt, che erano situati sulla Róngia in fondo a Via Ciseri (Strada de Fond).
Vicolo che sale dalla chiesa fino alla Strada de Mezz. Probabilmente in passato solo il tratto iniziale era carrabile fino alla svolta per il Barchétt di Foghítt; questa modalità permette di giungere ancora oggi alla carrozzabile per Arcegno. Il tratto di strada dalla chiesa verso le zone superiori fu tracciato attorno al 1935. La zona dalla Caraa fino al prato della Madòna era caratterizzata da giardini e orti.
Casa di fronte alla chiesa parrocchiale, un tempo di proprietà di Francesco Spigaglia, il nonno di Pino Maranesi, uno degli informanti della presente raccolta. Passò in seguito da Francesco al fratello Martino, allora emigrato in Francia. Tornato in patria all’inizio del Novecento, Martino, detto Martinetto, ampliò la casa con gusto francese e vi abitò con la moglie parigina, conosciuta solo come la Madame e non meglio identificata. I ronchesi la salutavano con «bundí, scióra madámm!». Il Martinetto fu per vari anni sindaco di Ronco. La casa fu poi abitata dalla figlia Cécile, da cui il nome dell’edificio, sposata Fontana. Ora è proprietà Bettè.
L’unico alpe di Ronco, a 1284 metri di quota, un tempo di proprietà per metà dei Materni e per metà del patriziato. Comprende vari edifici, anch’essi di proprietà in parte comunale e in parte patriziale; una stalla è bruciata recentemente. A ovest sorge la cascina più antica, con un piccolo focolare; un anello di legno nel muro serviva per attaccare il braccio girevole della caldaia. Un pozzo, che forniva acqua per il bestiame, è tuttora ben conservato, nonostante i lavori idroelettrici degli anni Cinquanta, che prosciugarono buona parte delle sorgenti e dei corsi d’acqua del territorio comunale. La zona è ancora oggi caratterizzata da un grande prato che viene falciato ogni anno. Un tempo, portava un recinto, che si può ancora intravedere a tratti. Non si tratta di un alpe nel senso classico, perché l’insediamento fungeva anche da monte per la fienagione e c’era forse anticamente anche qualche campo. Durante la seconda guerra mondiale, tutto il Casón fu coltivato a patate. Nei verbali seicenteschi della vicinanza è documentato, oltre all’incanto annuale dell’alpe, anche quello dei mulini, della misura per i liquidi e della pesa pubblica.